Il Flipper

on 7 Luglio 2014 in Sixties Cults

Cari Birikini, vi ricordate quel gioco il cui scopo è accumulare punti raggiungendo il bersaglio con una biglia?
Stiamo parlando del Flipper, detto anche biliardino automatico. Questo gingillo deve il suo nome alle piccole pinne esterne che il giocatore aziona per iniziare la partita; il raggiungimento del bersaglio porta all’accumulo di punti. Questo gioco, che risale al regno francese del Re Sole, viene modernizzato con l’avvento dell’elettricità: si arricchisce di suoni e luci.
Il primo flipper provvisto di palette venne prodotto nel 1947 dall’azienda statunitense “Gottiels” e permise la trasformazione da gioco di fortuna a gioco di abilità.
Negli anni ’60 e ’70 i costruttori di tale passatempo, pensarono di intervenire a livello estetico: molti illustratori come gli italiani Toni Ramunni e Adriano Nardi, contribuirono ad abbellire con illustrazioni queste macchine.

Nell’Italia degli anni ’60 il flipper non ebbe vita facile: esso fu sottoposto a restrizioni dal punto di vista legislativo, poichè considerato gioco d’azzardo.
Per fronteggiare tale situazione i costruttori di questi marchingegni, si dedicarono alla creazione di modelli studiati appositamente per la nostra nazione. Il biliardino automatico diverrà legale solo a partire dal 1995.
Molto in voga nel 1960 e nel 1970, oggi questo gioco è praticamente scomparso dai locali pubblici.

Elisa Nadai

La mitica 500

on 27 Giugno 2014 in Sixties Cults

Quanti tutt’oggi sostituirebbero la propria auto per una vecchia 500? Per quante estati quest’ utilitaria ci ha accompagnati?
Sono trascorsi 55 anni dal debutto della famosa “500” o, nella denominazione popolare “Cinquino”.
Il veicolo fu sperimentato dalla casa automobilistica torinese “FIAT”, nel periodo compreso tra 1957 e 1975. La FIAT vantava la più grande tradizione al mondo nel campo delle utilitarie; la produzione infatti, ebbe inizio nel 1936 con la “Topolino”, conosciuta anche come l’automobile economica più piccola al mondo, fino a giungere alla “500”.
Il 1 luglio del 1957  la nuova “500”, fu mostrata in anteprima al presidente del consiglio Adone Zoli. La creazione fu presentata al pubblico il giorno seguente, presso il Circolo Sporting di Torino. Ci troviamo nell’ epoca della conquista dello spazio, come del resto, la FIAT, con questa nuova vettura,conquisterà la mobilità del popolo italiano.
Per gli ingegneri della casa automobilistica, l’ipotetico acquirente era la persona già in possesso della storica Topolino,oppure colui che aveva deciso di pensionare la “Vespa”, per una quattro ruote.
Il debutto dell’auto non fu roseo: agli occhi degli italiani, la macchina risultava costosa e scomoda, poichè fornita di soli due posti. Il prezzo di lancio fu di 490 mila lire che vennero ribassati a 465 mila lire, proprio a causa dell’insuccesso iniziale. Tuttavia, la gran parte delle persone continuavano a scegliere il modello automobilistico “600”, competitivo rispetto al nuovo esemplare, per rapporto servizi offerti/prezzo.  A pochi mesi di distanza dall’esordio, la nuova creazione subì alcune modifiche (vennero offerti maggiori contenuti e furono aggiunti i sedili posteriori), solo allora la vettura incontrerà il favore del pubblico.
Un anno dopo, ritornano i due posti e nasce la “Sport 500”, che risulta avere maggior potenza. La nostra piccola “500”,con le opportune modifiche, è ancor oggi l’orgoglio dell’azienda torinese; in tanti anni nulla è riuscito a fermare la corsa di questo piccolo gioiellino.

La moda italiana negli anni ’50

on 24 Giugno 2014 in Sixties Cults

Cari Birikini, oggi vi proponiamo un viaggio nell’ambiente della moda: parliamo dei famosi anni ’50.
Il mondo si stava riprendendo da un lungo periodo di crisi economica, conseguenza della seconda guerra mondiale. L’America era diventata la maggior potenza del pianeta e gli stati europei cominciarono ad avvertire il fascino nei confronti dello stile musicale e cinematografico americano.

Ben presto l’influenza si estende anche nel campo della moda. Simbolo di questo periodo furono i jeans che da indumento utilizzato dagli operai durante le ore di lavoro, divenne elemento rappresentativo della gioventù. Per la prima volta era il popolo a scrivere un nuovo capitolo nella storia della moda.
Il periodo di benessere che stava attraversando l’Europa, portò il popolo ad essere fautore del consumo di massa: ogni famiglia ambiva a possedere un’automobile, un frigorifero e abiti d’alta sartoria (quelli proposti nelle riviste e che rispondevano alle nuove tendenze).
Il 12 febbraio 1951 la moda italiana, che fino ad allora aveva sempre lavorato alle dipendenze delle grandi firme francesi, riesce ad emanciparsi: il primo passo verso l’autonomia è fu fatto da Giovanni Battista Giorgini che durante il periodo bellico aveva stretto contatti con gli americani, aveva studiato tendenze e gusti nell’abbigliamento e si era messo all’opera per portare tutte le nozioni apprese sulle passerelle italiane. Nel 1951 in via dei Serragli a Firenze,si tenne la sfilata organizzata da Giorgini in cui figuravano personalità come le Sorelle Fontana, Franco Bertoli, Emilio Pucci, Jole Veneziani. L’invito all’evento recitava :“Lo scopo della serata è di valorizzare la nostra moda. Le signore sono vivamente pregate di indossare abiti di pura ispirazione italiana”

La stampa estera criticò positivamente le creazioni che, ben presto, conquistarono i mercati internazionali.

Nel 1952 all’interno del palazzo Pitti nasce la prima industria di moda italiana in cui si tengono continue sfilate e manifestazioni.
Accanto al tessuto jeans si sviluppa sempre più la moda dedicata al tempo libero: i pantaloni stavano conquistando il pubblico femminile; maglie e maglioni che fino ad allora erano considerati indumenti poveri e popolari, cominciano ad essere i pezzi forti nelle collezioni degli stilisti;l’orlo delle gonne si alza e sulle spiagge fa la sua comparsa il bikini.
Nel 1958 in Italia viene fondata la Camera Sindacale della moda, con sede a Roma e, un anno dopo, Valentino apre la sua maison.
Da questo momento la moda italiana trionfa in tutto il mondo.

Elisa Nadai

Il musicarello

on 19 Giugno 2014 in Sixties Cults

Cari Birikini, quest’oggi vogliamo fare un salto nei magnifici anni ’60: quanti di voi, almeno una volta, hanno guardato i film in cui cantanti come Rita Pavone, Gianni Morandi, Little Tony, trascorrevano le sere d’estate tra amori e tanto divertimento?

Si, stiamo proprio parlando del Musicarello, il sottogenere cinematografico italiano che ebbe fortuna negli anni ’50 e ’60. In quel periodo infatti, i gusti musicali della popolazione italiana si stavano sempre più diversificando creando un gap generazionale tra la musica ascoltata dagli adulti e quella udita dai giovani. Tale tendenza era nata negli Stati Uniti, nazione che in quegli anni aveva visto nascere il rock’n roll (ben presto affermatosi come genere musicale dei teenager) e si era trascinata oltre oceano interessando anche la nostra bella nazione.

Tale fenomeno persuase anche l’ambiente cinematografico italiano; siamo intorno al 1960 quando Lucio Fulci propose al cantante Adriano Celentano di partecipare al film “Urlatori alla sbarra”. Dopo il 1962, anno di successo per le band Beatles e Rolling Stones, il panorama musicale e cinematografico italiano mutarono ulteriormente: nel nostro Paese esplose la musica beat che ben prestò si configurò come sinonimo di emancipazione giovanile. Emergono nuovi cantanti come Gianni Morandi, Caterina Caselli, Patty Pravo, Lucio Battisti e gruppi come gli Equipe 84, i Nomadi e i New Trolls. Il successo di questi artisti attirò numerosi produttori cinematografici che colsero l’occasione per portare sul piccolo schermo questi personaggi. Il più tempestivo fu Goffredo Lombardo che attraverso il film dal titolo “In ginocchio da te” e “Nessuno mi può giudicare” presentò Gianni Morandi e Caterina Caselli. In queste pellicole veniva evidenziata la ribellione dei cantanti nei confronti delle vecchie usanze; tuttavia, per evitare che tale messaggio risultasse troppo esplicito e per raggiungere un numero maggiore di telespettatori, le sceneggiature prevedevano la presenza di adulti che interpretavano ruoli autoritari . Verso la metà degli anni ’60 il musicarello si giostrava tra musica di successo, storie d’amore e scenette comiche; dietro tale facciata, la rivolta giovanile, che avrebbe trovato sfogo nelle contestazioni del 1968. A differenza di quanto accadeva negli Stati Uniti, il tema del pacifismo apparve nelle canzoni italiane dell’epoca un riferimento generico e lontano. Ciò nonostante, i testi delle canzoni, come pure il loro utilizzo nei film, esprimevano un disagio esistenziale che diventava sempre più politico. Lo vediamo ad esempio nel film di Antonio Pierangeli “Io la conoscevo bene”, in cui le canzoni comunicano il senso di vacuità e solitudine percepito dalla protagonista (Stefania Sandrelli), che si suiciderà. All’avvio della contestazione studentesca del 1968 corrisponde il declino del musicarello; Per qualche tempo riuscì a resistere la coppia composta da Al Bano e Romina Power ma ben presto questo sottogenere cinematografico rimase solo un ricordo e un’icona utile nel descrivere usi e costumi dei nostri anni ’60.

Il mangiadischi

on 3 Giugno 2014 in Sixties Cults

Il mangiadischi fu un tipo di giradischi portatile automatico, in cui il disco in vinile da leggere – di solito nel formato 45 giri –  era introdotto, attraverso una fessura, nell’involucro esterno. Un meccanismo interno a molla, sollecitato dell’introduzione del disco, fissava quest’ ultimo al piatto, il vinile iniziava a ruotare, mentre la puntina si posava sulla superficie del supporto, dando inizio alla riproduzione musicale.

Sembra che lo strumento sia nato verso la fine degli anni Cinquanta e si sia diffuso negli anni Sessanta. Il successo si deve probabilmente al fatto che il mangiadischi poteva essere facilmente trasportato ovunque. Funzionava infatti a batteria e diffondeva la musica dei 45 giri di successo, creando momenti di aggregazione festosa in qualsiasi contesto.

Uno dei modelli più famosi è probabilmente “Irradiette”. Mario Bellini, il designer che lo ha creato, lo descrive così sulla rivista “Ottagono” nel 1968 : “Un “mangiadischi” portatile, in fondo, non è niente; ma dev’essere “qualcuno”, come suggerisce la stessa felice e grottesca espressione antropomorfica; e non poteva che essere una bocca con una maniglia; una bocca dove infilare alla svelta un disco che si mette a suonare subito,e suona sempre e comunque, si tenga per mano passeggiando o si posi dritto, di fianco o capovolto; il “mangiadischi” che, coerentemente, appena finito di suonare sputa il disco ed è pronto a ricominciare.”