ARTISTI CHE RACCONTANO COSE CHE (QUASI) NESSUNO SAPEVA

ARTISTI CHE RACCONTANO COSE CHE (QUASI) NESSUNO SAPEVA

Comincia qui un viaggio dentro la grande musica degli anni sessanta. Musica che, come avevamo scritto nel numero precedente, è fatta non solo di note e voci ma anche di vite vissute, di cose che accadono anche agli artisti, uomini e donne che si sono svelati ai microfoni di Radio Birikina in 25 anni di incontri.

Per esempio, Bobby Solo. Emulo indiscusso del re di Memphis, è riuscito nell’impresa: insinuare dentro i confini italiani il rock’n’roll con quello stile personale del grande Elvis, dai capelli alle movenze sul palco. “E’ il 1964 – racconta zio Bobby (come ama farsi chiamare da chi lo conosce bene) – a Sanremo cantavo in coppia con Frankie Laine ‘Una lacrima sul viso’. Un attacco di “fifite acuta” mi bloccò le corde vocali, forse anche perché dovevo cantare questa canzone che avevo scritto per mia sorella. Cantai in playback. Ma non bastava: anche Frankie Laine dovette sottoporsi a un intervento dentistico urgente nello stesso momento. Credo sia salito sul palco che ancora pensava al trapano del dentista più che al testo del brano”. Oggi Roberto Satti, questo il vero nome di Bobby Solo, conta su un suo pubblico affezionato che sa sempre cosa succederà quando l’artista sale sul palco: ecco perché egli è in tour costante e senza soste in ogni dove del bel paese da sempre.

Little Tony e Roberto Zanella

 

Amico-rivale da sempre di Bobby, un altra stella del rock’n’roll made in Italy che, purtroppo, da qualche anno, brilla ancora solo nell’immaginario collettivo: Little Tony.

 

 

Con Antonio Ciacci, sammarinese, che non ha mai voluto diventare cittadino italiano, a Radio Birikina ci fu un gradito incontro nello studio di Sanremo proprio nell’anno in cui, deposte le armi della concorrenza artistica, egli duettò con Bobby Solo. Facendo riferimento al periodo d’oro dei “musicarelli”, racconta Little Tony: “Fra il 1966 ed il 1970 ho girato ben 15 film. Oltre al successo nei cinematografi, ricevevo in media 200 lettere al giorno. I mittenti erano per la maggior parte femminili e io rispondevo sempre a tutte le missive. Mio padre, un giorno, mi venne vicino e mi disse che i francobolli costavano e di darmi una regolata. Cosa feci? Continuai a rispondere a tutte le lettere che mi arrivavano”.

Abbandonando le icone del r’n’r che sono transitate per gli studi di Birikina, dedichiamo uno spazio a un gruppo storico del decennio d’oro. I Dik Dik. Pietruccio Montalbetti, che da qualche anno è diventato scalatore ed esploratore nei paesi più remoti del mondo, e che forse è l’elemento del gruppo che parla più volentieri, racconta che i Dik Dik nacquero grazie alla raccomandazione del papa.

Che cosa c’entra il pontefice con il beat? Ce lo spiega Pietruccio: “Di gruppi che speravano in un contratto ve n’erano un’infinità, bisognava trovare il modo di essere scelti. Così pensai a mio fratello Cesare, che lavorava come addetto all’acquisto di organi all’Arcivescovado di Milano. Ottenni una lettera firmata dall’allora vescovo di Milano, monsignor Montini (poi papa Paolo VI), che ci definì come “buoni parrocchiani”. Di lì a qualche mese la Ricordi ci convocò per un’audizione. Arrivammo a Milano in anticipo e, in fondo alla sala, al buio, c’era un ricciolone nero che suonava il pianoforte. Ci salutiamo, parliamo, racconta che è un autore. Era Lucio Battisti. Da lì nacque una storia che si intreccerà per decenni e che ancora vive nelle canzoni rimaste nel cuore della gente”.

Se ci fate caso, molti complessi (allora si chiamavano così) dei sixties avevamo nomi di animali. Dik Dik e Corvi, Delfini e Camaleonti. Già, i Camaleonti, altra band che è passata chissà quante volte a Radio Birikina. Nata nel 1964 e originariamente formata da Ricky Maiocchi, Livio Macchia, Gerry Manzoli, Tonino Cripezzi e Paolo Di Ceglie, tutti provenienti da altre formazioni milanesi. Nella lunga e, scusate il gioco di parole, camaleontica vicenda musicale del gruppo (in cui entrarono anche Teo Teocoli e Mario Lavezzi) trova spazio anche qualche curioso aneddoto. Per esempio, nel 1972, vengono esclusi da “Un disco per l’estate” perché avevano portato la canzone “Tempo d’inverno”. Ma perché Camaleonti? Livio racconta: i nostri inizi furono come quelli di tutti gli altri, lavoro nelle balere, nei night e nei dancing, dancing come si usava in quegli anni, quando la figura del dj non era stata ancora inventata. L’importante di quelle serate era far ballare il pubblico, farlo divertire con polke, mazurke, tanghi e, per i più avanti d’età, coi classici della tradizione americana. I ragazzi volevano shake, twist e rock. Proprio da questo nostro suonare per locali che era un continuo compromesso artistico, decidemmo di chiamarci Camaleonti per la capacità di passare da uno stile di musica all’altro secondo le esigenze e secondo i locali. Era il 1963.