I FAVOLOSI ANNI SESSANTA NEL DNA DI RADIO BIRIKINA

I FAVOLOSI ANNI SESSANTA NEL DNA DI RADIO BIRIKINA

La musica è da sempre definita linguaggio universale e ogni ambiente ne risente profondamente. Radio Birikina, il tempio degli anni Sessanta, non fa eccezione. E’ sufficiente mettere piede dentro uno studio per respirare un’epoca intramontabile, in tutti i sensi.

E’ la musica che si fa arredamento. Sono i colori che fanno parlare le pareti e l’abbondante memorabilia che riporta ad andati ma mai tramontati fasti. Ecco dunque un pianoforte self-play piuttosto che la Lambretta, la pompa di benzina cents-per-gallon e la cera di Elvis, i numerosi juke-box e le collezioni di vinili, in 45, 33 e perfino 78 giri. Potremmo chiamarli complementi d’arredo, se non fosse che siamo a Radio Birikina

E allora, tanto complementi non sono più: sono ingredienti di una cultura, di una storia musicale sempre più orientata a lasciare un segno nei libri di storia, un po’ come accadde per l’operetta, i telefoni bianchi o il tabarin di ben più lontani da questo ventunesimo secolo. Il tempo lo dirà ma le previsioni sono ottime. E poi le decalcomanie, gli specchi, il design che ricorda prepotentemente quel primo Dalì, quello che disegnava il logo Cocacola. Stickers murali e gigantografie di artisti e note musicali adornano le pareti.

Chiara

Qui e là fanno capolino i gruppi beat e rock and roll. E’ sottinteso: chitarre, bassi, e varietà strumentale sono sempre presenti. Non ce se ne accorge subito, perché entrando negli studi di Radio Birikina l’attenzione è catturata dai miti della musica. Ma poi, la musica c’è tutta, a partire dagli attrezzi che servono per farla, arcame e fiati inclusi. Strumenti vecchi (ma siamo sicuri poi che siano andati in pensione?) e attrezzature musicali sono una sorta di messaggio subliminale che poi esplode.

Una radio dovrebbe trasmettere musica e, invece, vista da dentro, apre nuovi orizzonti: una sorta di cielo in una stanza. Parliamo, per esempio, del pianoforte che suona da solo. La sua è una storia lunga che va raccontata. Sono gli anni del cinema muto e, nelle sale americane della grandi città, un pianista accompagnava le fluttuanti immagini dei film in bianconero, senza sonoro, suonando spolverate di jazz e di rag, oppure melodie soffuse nei momenti melancolico-romantici della pellicola. Nei cinemini di periferia, quelli alla buona, che ricordavano molto il nostro sud degli anni Settanta, il gestore non poteva permettersi di pagare un pianista e, così, adottava il piano che suonava da solo e che assurgeva così a veroprotagonista della colonna sonora dei film. Quel pianoforte, poi, è divenuto accessorio d’arredamento di molti hotel e ville di magnati a stelle e strisce. E quante volte la sua figura è comparsa sui set delle comiche di Stanlio e Ollio o nei film di guerra! Radio Birikina ne ha raccolto uno, un vero gioiello a testimoniare esattamente quel tempo in cui visse Charlie Parker e che diede il la alla nuova epoca: i sixties. Esattamente come li abbiamo visti per anni, prima del telegiornale delle otto, nelle storie di Happy Days.

Da Milwaukee a Memphis, Tennessee, il passo è breve. Ecco allora che Birikina ospita, accanto al piano senza pianista, una cera di Elvis the Pelvis. E’ la sala delle meraviglie. E’ qui che trova spazio la collezione di jukebox, periodo di produzione dal 1938 al 1960. Ora, come allora, basta fare un gesto semplice: insert coin. E lui suona. Successori del juke-joint, un bar in cui si ballava, i jukebox ospitati da Radio Birikina sono i classici del tempo: Wurlitzer, soprattutto, sfarzosi di grosse lastre di plexiglass o vetro, che lasciano trasparire il meccanismo interno per la selezione dei dischi.

Compagno indiscusso del jukebox è sicuramente il flipper. Anch’egli ha segnato la storia dell’entertainment da bar. Poteva mancarne uno a Radio Birikina?