L’alluvione di Firenze

L’alluvione di Firenze del 4 novembre 1966 è l’ultima di una serie di straripamenti del fiume Arno che hanno nel corso dei secoli mutato il volto della città di Firenze. Avvenuta nelle prime ore di venerdì 4 novembre 1966  in seguito di un’eccezionale ondata di maltempo, fu uno dei più gravi eventi alluvionali accaduti in Italia, e causò forti danni non solo a Firenze ma in gran parte della Toscana e più in generale tutto il paese.

L’alluvione non colpì solo il centro storico di Firenze ma l’intero bacino dell’Arno, sia a monte sia a valle della città. Sommersi dalle acque furono anche molti quartieri periferici della città. Dopo il disastro, le campagne rimasero allagate per giorni, e molti comuni minori risultarono isolati e danneggiati gravemente. Nelle stesse ore, sempre in Toscana, una devastante alluvione causò lo straripamento del fiume Ombrone, colpendo gran parte della piana della Maremma e sommergendo completamente la città di Grosseto.

Gli ultimi giorni di ottobre ed i primi del novembre 1966 erano stati caratterizzati da violente ed intense precipitazioni. Le piogge erano aumentate di intensità nella giornata del 3 novembre ma a Firenze e dintorni nessuno si dava eccessive preoccupazioni, dato che le piene dell’Arno, del Bisenzio, dell’Ombrone Pistoiese e degli altri corsi d’acqua erano per tutti un evento noto, occasione magari per una chiacchierata con i concittadini sulle spallette e sugli argini. Le vittime dell’alluvione furono relativamente poche anche per questa usanza : nessuno può dire cosa sarebbe accaduto se le acque avessero sorpreso i fiorentini che andavano al lavoro o i contadini all’opera nei campi in un giorno feriale.

L’alluvione fu un evento eccezionale ed inaspettato per le sue proporzioni. Mai a Firenze l’Arno, che pure aveva esondato spesso, aveva raggiunto una tale furia, come attestano le targhe relative alle alluvioni precedenti come quella, fino ad allora reputata disastrosa, del 3 novembre 1844. Il discorso vale anche per i comuni limitrofi, da sempre abituati alle sfuriate degli affluenti dell’Arno o dei canali, dove la gente si aspettava la solita piccola inondazione di cinquanta centimetri, evento ricorrente in alcune zone come le frazioni meridionali di Campi Bisenzio e dove ogni famiglia era munita della dotazione anti-allagamento composta da cateratte, secchi e scopettoni pesanti.

La gente comune, con gli esperti al lavoro, non perse tempo per ripristinare le abitazioni e le attività economiche. Durante l’alluvione don Lorenzo Milani si prodigò affinché anche da Barbiana partissero aiuti alla volta di Firenze a base di acqua e pane. Un grande merito nell’opera di sensibilizzazione si dovette ad un documentario dal titolo “Per Firenze” realizzato dal regista fiorentino Franco Zeffirelli, che comprendeva un accorato appello in italiano dell’attore gallese Richard Burton. Fra gli appelli che furono lanciati c’è anche quello del politico statunitense Robert Kennedy.

Giunsero così presto nel capoluogo toscano i primi aiuti, in veste più o meno ufficiale. Un grande contributo fu dato da alcune città toscane come Prato e dai comuni della Versilia, dalle forze armate americane di stanza in Italia, dalla Croce Rossa tedesca, da varie associazioni laiche e cattoliche, da alcune federazioni di partiti politici e, ovviamente, dalle Forze Armate Italiane. Aiuti ufficiali arrivarono anche dall’Unione Sovietica, dalla Cecoslovacchia e dall’Ungheria, simbolo di come l’Arno era stato capace anche di corrodere, seppur per poco, il ferro della Cortina.

È inevitabile che più duratura nella memoria sia rimasta la tragedia, sia pure incruenta, del patrimonio artistico della città: migliaia di volumi, tra cui preziosi manoscritti o rare opere a stampa furono coperti di fango nei magazzini della Biblioteca Nazionale Centrale, e una delle più importanti opere pittoriche di tutti i tempi, il Crocifisso di Cimabue deve considerarsi perduto all’80%. La nafta del riscaldamento impresse le tracce del livello raggiunto dalle acque su tanti monumenti. Innumerevoli i danni ai depositi degli Uffizi, ancora non completamente risarciti dopo anni di indefessi restauri. Un vero e proprio esercito di giovani e meno giovani di tutte le nazionalità volontariamente, subito dopo l’alluvione, arrivarono a migliaia in città per salvare le opere d’arte e i libri, strappando al fango e all’oblio la testimonianza di secoli di Arte e di Storia. Questa incredibile catena di solidarietà internazionale rimane una delle immagini più belle nella tragedia. I giovani, chiamati ben presto gli “Angeli del fango”, sono anche uno dei primi esempi di mobilitazione spontanea giovanile nel XX secolo.


Per la tutela del patrimonio artistico danneggiato si mise subito in moto una gara a mettere al sicuro e approntare i primi restauri ai beni danneggiati. Guidati dal lungimirante soprintendente Ugo Procacci, i laboratori fiorentini dell’Opificio delle Pietre Dure raggiunsero gradualmente quei livelli di avanguardia e maestranza tecnica che tuttora li rendono una delle strutture più importanti a livello mondiale nel campo del restauro. Oltre ai metodi tecnico scientifici allora disponibili, e a sviluppare nuove tecnologie allora ancora embrionali, il Procacci fu uno dei primi a basare gli interventi di restauro cercando e studiando le fonti scritte lasciate dagli artefici nel corso dei secoli. La più profonda comprensione di tecniche e materiali antichi infatti si basò sulla lettura attenta di tutte quelle testimonianze antiche che spiegavano per filo e per segno i procedimenti utilizzati per creare i manufatti artistici.

 

Negli anni immediatamente successivi all’alluvione furono realizzati alcuni importanti interventi. Tra questi il completamento del canale scolmatore d’Arno a Pontedera, l’abbassamento delle platee dei ponti Vecchio e Santa Trìnita e il sopralzo delle spallette in alcuni tratti del tronco fiorentino del fiume. Particolare cura, nella cintura fiorentina occidentale, è stata data alla cura degli argini del fiume Bisenzio e dei canali minori della zona. La zona, da secoli sottoposta a periodici allagamenti più o meno gravi è stata curata con la periodica pulizia ed il rafforzamento degli argini, la costruzione di impianti idrovori e la realizzazione di casse di espansione. Fu  completato lo scolmatore del canale d’Arno a Pontedera, l’abbassamento delle platee dei ponti Vecchio e Santa Trìnita e il sopralzo delle spallette in alcuni tratti del tronco fiorentino del fiume.

Nel 1990, a seguito dell’emanazione della legge quadro sulla difesa del suolo, fu costituita l’Autorità di bacino del fiume Arno, con il compito di sviluppare il Piano di bacino. Questo importante atto, con forti ricadute anche di carattere urbanistico, è articolato per stralci e, tra le altre cose, indica le strategie per mitigare il rischio idraulico e la difesa dalle alluvioni. Il primo stralcio ‘rischio idraulico’, sviluppato sotto la guida dell’allora Segretario generale Raffaello Nardi, prevedeva interventi strutturali per oltre 1,5 miliardi di euro e vide la luce nel novembre del 1999. Il piano, che tra le altre cose, vincolava molto del territorio di fondovalle, restò sostanzialmente inattuato, soprattutto per gli scarsi finanziamenti pervenuti dallo Stato e la forte rigidità delle strategie che non offrivano una sufficiente azione protettiva, considerata anche l’estrema incertezza del flusso di risorse economiche.

Intanto, nel 2001, entrava in servizio l’invaso di Bilancino. Quest’ opera ad uso multiplo, oltre a sostenere il deflusso minimo vitale del fiume, alimentare l’acquedotto di Firenze, produrre energia e riqualificare l’alto Mugello dal punto di vista ricreativo, fornisce un forte contributo alla moderazione delle piene della Sieve con effetti anche su Firenze. Allo stato dei fatti, essendo il piano in via di completamento, resta il rischio del ripetersi di una esondazione con situazioni di maltempo paragonabili a quelle del 1966. In tal caso l’Arno tornerebbe ad alluvionare Firenze, anche se con livelli idrici verosimilmente più bassi. Particolare cura, nella cintura fiorentina occidentale, è stata data alla cura degli argini del fiume Bisenzio e dei fossi minori della zona, dopo l’alluvione del novembre 1991 che colpì il centro di Campi Bisenzio. La zona, da secoli sottoposta a periodici allagamenti più o meno gravi è stata curata con la pulizia ed il rafforzamento degli argini, la costruzione di impianti idrovori e la realizzazione di casse di espansione.

 

Si è pure osservato che un eventuale replica dell’alluvione del 1966 sarebbe oggi ancora più distruttiva: si è calcolato che oggi il livello delle acque, straripate con le stesse modalità di allora, supererebbe di circa due metri quello del 1966. Oltretutto in questi quaranta anni molte zone a quel tempo deserte o a conduzione agricola sono state trasformate in quartieri densamente abitati o in aree industriali, basti pensare alla zona dell’Osmannoro e a gran parte del territorio comunale di Campi Bisenzio.