KAPO’, IL CAPOLAVORO DI GILLO PONTECORVO

Cari Birikini,

qualche tempo fa ci siamo imbattuti in una pellicola dalle note molto cupe, che nel 1959 vinse il premio Oscar come miglior film straniero: “Kapò”. Il lungometraggio diretto da Gillo Pontecorvo parla della tragedia dell’olocausto. Protagonista è la giovane ebrea Edith che viene deportata in uno dei campi di concentramento tedeschi. Nasce in Edith la voglia di far fronte alla situazione a tutti i costi: la giovane accetta la proposta di un medico che la fa passare come Nicole Niepas, una criminale francese appena morta. Solo così la protagonista può sopravvivere allo sterminio ma c’è un prezzo da pagare. Diventare una Kapò, guardiana dei prigionieri e crudele aguzzina della sua stessa gente, delle sue compagne, che la odiano più degli stessi tedeschi.

Al campo di concentramento giungono un gruppo di prigionieri di guerra. Tra questi Edith ne nota uno, Sasha, un russo che comprende il dramma della giovane. Questo apre nuova speranza nella vita solitaria della protagonista che si innamora di lui. Sasha la coinvolge nel progetto di liberazione del campo; Nicole è addetta allo staccare la corrente elettrica.

Il giorno prima della fuga un prigioniero inglese avvisa la fanciulla che al momento dell’interruzione della corrente elettrica si attiverà un allarme. Per la Kapò non c’è scampo ma la scelta è quella di sacrificarsi. Stanca di nascondersi, di mentire, di condurre questo tipo di vita e desiderosa di salvare i prigionieri tra cui l’amato Sasha, stacca i fili elettrici. Edith muore recitando i versetti dell’antica preghiera Shemà, segno dell’intimo desiderio di ricongiungersi alla sua vera identità.

Un film molto duro che ha fin da subito diviso la critica. L’idea nacque dopo la lettura della celebre opera memorialistica di Primo Levi “Se questo è un uomo”. Kapò è il film di una donna che per salvarsi dalle angherie sceglie di trasformarsi in un’altra persona, di cambiare la propria essenza affidandosi al potere, alla crudeltà. Così vivo in lei è il ricordo delle passate sofferenze che fra tutte, è proprio lei a diventare la più aspra, la più dura e cinica. Tutto questo viene infranto quando scopre che nel suo cuore c’è ancora spazio per l’amore, quel sentimento di cui sembrava non aver più bisogno ma che diventa per lei luce, speranza di salvezza e motivo di cambiamento. Un dramma che commuove: quando lo spettatore spera che Edith si salvi lei sceglie di sacrificarsi e lo fa proprio in nome dell’amore che le ha fatto riscoprire i valori di un tempo. Un film curato nel dettaglio; Pontecorvo descrive una tragedia umana e lo fa in modo magistrale.