Autoradio

on 28 Aprile 2021 in Stile senza tempo

La nascita dell’autoradio si deve ai fratelli Paul e Joseph Galvin che fondano la Galvin Manufacturing Corporation nel 1928.

Il primo modello viene prodotto nel 1930 e viene chiamato Motorola 5T71, dove Motorola sta per Sound in Motion (Motor=moto, Ola=suono). Il modello era installabile nella maggior parte delle auto.

Ormai il concetto di autoradio è restrittivo, essendo stato inglobato all’interno di un oggetto multimediale più vicino al pc, con possibilità di interazione continua.

I calcinculo!

on 28 Aprile 2021 in Stile senza tempo

Giostra a seggiolini, giostra a catenelle, calcinculo, aveva tanti nomi la regina assoluta del lunapark!

Quando i genitori acconsentivano, e c’erano abbastanza spiccioli per pagare le corse, questa era la prima giostra dove ci si fiondava, tanto era divertente e tante erano le risate che ci si facevano.

Appena la macchina partiva sembrava di volare e la forza centrifuga strapazzava i capelli e le mascelle scatenando le urla dei partecipanti.

Accanto alla giostra c’era la casetta del bigliettaio che regalava sorrisi ai bambini (quasi meglio di Babbo Natale) ma dava anche un bel po’ di filo da torcere rendendo più difficile il gioco.

L’obiettivo infatti era quello di afferrare l’ambitissimo trofeo che penzolava da un’antenna mobile che veniva puntualmente rilanciata dal bigliettaio rendendo ancora più difficile la presa al volo dell’oggetto, solitamente un fiocco, una bandiera o una codina finta di coniglio.

Non era mica facile! Era a quel punto che i giocatori aguzzavano l’ingegno mettendosi d’accordo con l’amica o l’amico per sedersi in seggiole congiunte in maniera tale che quello dietro potesse spingere il complice davanti.

La spinta non era proprio dolce, come si può intuire dal soprannome “calcinculo”. Ecco che con un po’ di slancio si riusciva ad acchiappare l’oggetto dall’antenna guadagnando la bellezza di una corsa gratuita.

Che si avesse vinto o meno, una corsa tirava l’altra e ci voleva l’intervento (insistente) dell’accompagnatore adulto o l’esaurimento del budget per convincere a fermarsi!

I trasferelli

on 26 Aprile 2021 in Stile senza tempo

Dopo aver fatto i compiti, o quando la pioggia impediva di giocare all’aria aperta, ecco che per i bimbi veniva l’ora dei trasferelli, il gioco preferito di chi è cresciuto a cavallo fra gli anni Settanta e Ottanta.

Ci si sentiva dei veri artisti premendo forte con la matita sulle sagome delle figurine trasferibili che magicamente ricomparivano uguali dall’altra parte del foglio. Il fondo del trasferello era adesivo e poggiava su di una superficie di materiale plastico trasparente.

Bastava grattarlo con la matita o con un righello e il gioco era fatto.

Qualsiasi superficie cartacea andava bene, anche se quella ideale rimaneva l’album apposito con cui venivano venduti gli adesivi e che permetteva di creare lo scenario desiderato in base all’estro dell’artista.

I set di frasferelli erano i più svariati; quelli che andavano per la maggiore riprendevano i grandi eroi dei fumetti della Marvel, ma non mancavo le macchinine, gli animali, Mazinga con tutto il filone giapponese e poi i personaggi della Walt Disney.

I bambini giocarono con le magiche figurine almeno fino ai primi anni Ottanta quando poi le vendite iniziarono a calare.

Per i nostalgici ne esistono molte versioni originali da ordinare on line o in uno dei numerosi siti dedicati agli oggetti da collezione.

Nota bene, i trasferelli sono quelli che funzionano “a secco”, per intenderci, tuttavia anche i loro prossimi cugini sono andati forte fino agli anni Novanta, quando poggiando la figurina sulla pelle e premendola con una spugna umida si poteva sfoggiare un braccio o una caviglia tatuata, proprio come gli adulti!

I mitici jeans Americanino

on 16 Aprile 2021 in Stile senza tempo

Negli anni Ottanta e sulle note martellanti dei Duran Duran (il gruppo più in auge dell’epoca) si diffonde in Italia la moda dei paninari.

Da Milano, luogo di nascita di questo fenomeno di costume, lo stile dei paninari si diffonde in tutta la Penisola e oltre. L’abbigliamento “giusto” diventa il passe-partout per appartenere alla cerchia sfoggiando abiti griffati e costosi.

I capi immancabili sono le scarpe Timberland, le camice a scacchi, i jeans Levis oppure i mitici Americanino, inconfondibili per il logo con i due pellerossa di profilo. Il marchio, nasce quasi per caso grazie all’intuito di Adolfo Bardelle (autista del 118 all’ospedale di Chioggia) che alla fine degli anni Settanta fonda la rinomata azienda di jeans e abbigliamento assieme a due soci.

Il successo è clamoroso: indossare quei jeans è sinonimo di “status” e chi era adolescente negli anni Ottanta sa bene cosa intendiamo! Il business veneto dei jeans esplode anche grazie a mirate campagne di marketing (e a quei tempi non era scontato) fra cui importanti sponsorizzazioni, prima fra tutte quella che vide comparire gli indiani Americanino sulla maglia del mito del calcio Zico, protagonista di una gloriosa pagina di storia dell’Udinese.

L’azienda purtroppo entra in declino nei primi anni Novanta e rimane attiva fino al ’93. Vale la pena dirlo visto il recente ritorno allo stile anni Ottanta: se c’è un momento giusto per tirare fuori quel vecchio paio di jeans dal cassetto, beh, è proprio questo!

Quality Street

on 9 Aprile 2021 in Stile senza tempo

Le scatole di cioccolatini Quality Street, slurp!

Solitamente la scatola era dalla nonna, decisamente più indulgente della mamma quando si trattava di dolciumi.

Scoperchiata la mitica confezione di latta targata Quality Street ci si trovava di fronte ad un’esplosione di incarti sgargianti e di dolcezze fra cioccolatini e toffee. Quest’ultimo, a base di caramello, è un dolce tipico inglese, non a caso fra i prodotti di punta della dolciaria John Mackintosh & Sons Ltd di Halifax (dal 1988 di proprietà di Nestlé) che negli anni Trenta introduce nel mercato la scatola di cioccolatini che ha segnato tre generazioni.

Dall’inghilterra i Quality Street conobbero un vero e proprio boom quando vennero esportati negli Stati Uniti.

È curiosa la raffigurazione dei due personaggi che campeggiano sul coperchio di latta. Si tratta infatti di Mister Brown e Miss Phoebe i protagonisti della commedia teatrale “Dolce Inganno” (appunto Quality Street in inglese) scritta nel 1902 da J. M. Barrie da cui qualche decennio dopo venne tratto anche il film diretto dal regista G. Stevens.

La coppia teatrale compare sulle scatole fino al 2000, oggi infatti la confezione è più “neutra” anche per fare spazio ad eventuali personalizzazioni scelte dai clienti consultando il sito ufficiale del prodotto.

Il marchio, che compare anche in altri prodotti della stessa linea, è legato ai momenti felici di molti bambini che di certo non avranno dimenticato il sapore dolcissimo e la consistenza cremosa degli inimitabili cioccolatini Quality Street.

Totocalcio

on 24 Marzo 2021 in Stile senza tempo

Un tempo sogno e rito di una nazione intera, la schedina del Totocalcio!

“Fare 13 al Totocalcio” è stata un’espressione che per quasi un cinquantennio ha segnato la cultura popolare italiana.

Con la famigerata schedina in mano, milioni di italiani hanno sognato il grande colpo di fortuna centrando gli esiti delle partite.

Ma ripercorriamo un po’ di storia; il concorso nasce nel 1946 grazie all’intuito di Della Pergola, Jegher e Geo Molo, i suoi tre “inventori”. Nata come “Sisal, la schedina viene ribattezzata Totocalcio solo nel nel 1948. La svolta però arriva all’inizio del ’51 quando le 12 combinazioni da indovinare diventano 13, segnando il destino di questo numero come cifra prediletta del calcio.

Trovarsi in ricevitoria era quasi un rito: si discuteva (talvolta in modo molto acceso), si sognava ma sopratutto ci si incontrava, uniti da quel foglietto così legato all’immaginario italiano.

Ma l’idillio si sa, non può durare per sempre. Il punto massimo nella storia del Totocalcio arriva nel 1993 con la vincita più alta nella storia della mitica schedina che permette ad un fortunatissimo di portarsi a casa ben 5 miliardi delle vecchie lire.

Poco dopo, inizia un lento declino. Nel ’94 si aggiungono altri concorsi che non scalzano il Totocalcio ma sicuramente gli tolgono terreno. Ed ecco che dopo l’avvento di Totogol, Totosei e Totobingol, la “mazzata finale” la dà la liberalizzazione delle scommesse sportive lascia spazio al moltiplicarsi di una miriade di tipi diversi di puntate, ma certamente non all’altezza del amatissimo Totocalcio.

La fine arriva nel 2003 quando sulla schedina compare un 14esimo risultato da azzeccare per la vittoria. Si tratta del cosiddetto “Tredicissimo” che spazza via un mito, rimasto indelebile nella memoria popolare e che ricordiamo con un pizzico di nostalgia!

Limbo

on 24 Marzo 2021 in Stile senza tempo

Come ve la cavate con il Limbo?

È ora del Limbo, e di fare un salto nelle tradizioni di Trinidad, isola caraibica a pochi chilometri dalle coste del Venezuela.

Questo ballo segnava uno dei momenti immancabili delle feste, almeno fino ai primi anni Novanta quando complice la diffusione della musica elettronica, anche l’intrattenimento di gruppo ha cambiato forma.

Il limbo richiedeva una buona dose di flessibilità perché l’aspirante ballerina/o doveva riuscire a passare sotto ad una fune o ad un bastone orizzontale piegando il busto all’indietro. Chi toccava il bastone (o appunto la corda) con il petto veniva subito squalificato dal gioco che diventava sempre più difficile ma mano che si procedeva mettendo alla prova l’elasticità e l’equilibrio dei partecipanti.

Questo gioco, che in origine nasce come una vera e propria danza, ha acquistato grande popolarità soprattutto nei villaggi vacanza o durante le crociere, segnando momenti divertenti di socializzazione e risate in compagnia.

Nella cultura popolare sono molti i riferimenti al limbo, fra cui la recente hit omonima di Daddy Yankee, non a caso, base per innumerevoli balli di gruppo e coreografie divenute virali sui social. Va citato anche il mitico Chubby Checker che nei primi anni Sessanta firma la celeberrima “Limbo rock” che fa tuttora da colonna sonora al gioco partendo da un brano strumentale dei Champs, band rock’n roll americana in voga negli anni Cinquanta e Sessanta.

La coperta della nonna

on 18 Marzo 2021 in Stile senza tempo

Era un tutt’uno con il divano o magari copriva il lettone, per altri il suo vero e unico posto era la sedia a dondolo dove la nonna si rilassava con le gambe al calduccio. Insomma, in tutte le case – fino ad un paio di decenni fa – c’era almeno una “granny square”.

Se “granny” in inglese sta per nonna, “square” indica il suo aspetto inimitabile: variopinta, spessa e rigorosamente a quadrotti.

Questa coperta era il prodotto per eccellenza delle abili mani della nonna che sferruzzando faceva capolavori. Tanto per ripercorrere un po’ di storia di questo oggetto iconico, la sua origine risalirebbe ai primi dell’Ottocento quando nel Regno Unito si diffusero le coperte afgane, anche dette appunto “afghan blankets” provenienti dal Medio Oriente. Da lì si sarebbero sviluppate in granny blanket, per poi arrivare fino a noi con l’aspetto che conosciamo.

Solitamente una di queste passava da una mano all’altra tra le generazioni, ecco perché l’aspetto – per quanto bello e colorato – appariva sempre un po’ sgualcito. Il tempo per confezionarle era molto, anche per questo era un oggetto di cui non ci si disfava più. La lavorazione si faceva a ferri (o alcune addirittura a uncinetto) realizzando combinazioni di colori in base al gusto personale.

Ai nostalgici con un po’ di tempo a disposizione, si suggerisce di armarsi di matasse e gomitoli per riparare quella vecchia che non si usa più, o magari, per creare una nuova coperta della nonna, in onore dei vecchi tempi! Farne una è un gesto d’amore che poi si traduce in un oggetto simbolo di famiglia e calore domestico per antonomasia.

Il barattolo porta rullino

on 11 Marzo 2021 in Stile senza tempo

Chi non ha conservato in soffitta almeno qualche scatola di vecchi rullini fotografici? Quelli più comuni erano i Kodak da 35 mm che venivano riposti al riparo dalla luce dentro a dei graziosi barattolini neri con tappo a vite. Quelle scatoline cilindriche custodivano dei tesori di ricordi e momenti felici che più tardi prendevano forma nella camera oscura del fotografo.

Il rullino è il simbolo per eccellenza della fotografia analogica che fra gli anni 70 e 90 è entrata nelle case degli italiani – e non solo – che non mancavano occasione di immortalare frammenti di una vacanza o ritratti di persone care.

Oggi a ricorrere ancora al rullino sono solo collezionisti o appassionati di fotografia che cercano un modo di fotografare dal sapore più “vintage”. La rivoluzione digitale ha infatti travolto il mercato a partire dai primi anni 2000, quando le fotocamere digitali hanno raggiunto un prezzo accessibile per il consumatore medio. Ciononostante la prima macchina digitale vede la luce nel 1981 (era una Sony Mavica FD5 con supporto memoria in floppy disc), mentre el 1991 Kodak mette a puntola prima reflex digitale destinata a giornalisti e reporter professionisti e dunque appannaggio di una nicchia.

Se abbiamo risvegliato la vostra curiosità sulla fotografia analogica, allora è l’occasione buona per rispolverare il contenuto di quei vecchi barattoli di rullini, ammesso che ne abbiate conservati alcuni in qualche cassetto! E chissà che non vi aspetti una sorpresa come quella che Thomas App, un fotografo francese, ha trovato dentro una Kodak ricevuta in regalo. Dentro la macchinetta infatti c’era un rullino dimenticato che App non ha perso occasione per sviluppare. Il risultato? Delle foto di una misteriosa famiglia di cui si è messo alla ricerca ricorrendo ai social. Buona fortuna App e a tutti i nostalgici del rullino!

Calcolatrice Casio anni Novanta

on 17 Febbraio 2021 in Stile senza tempo

Oggi per fare dei calcoli si ricorre subito al cellulare che ormai ha mille funzionalità diverse. Ma prima dell’avvento degli smartphone, a scuola o in ufficio, la calcolatrice scientifica era un oggetto d’obbligo nella cartella o sulla scrivania.

La marca senz’altro più in voga dai tempi del calcolo elettronico è la CASIO che nel 1957 fa il suo ingresso nel mercato con la prima calcolatrice: la 14-A messa a punto dai fratelli Kashio. Nel 2006 l’azienda ha festeggiato un miliardo di calcolatrici vendute in tutto il mondo, giusto per farsi un’idea sulla diffusione che ebbe questo rivoluzionario prodotto.

Negli anni sono state prodotte decine di modelli che si differenziavano sia per il tipo di tecnologia che contenevano ma anche per il design. La forma “a libro” richiudibile rientra tra le più famose oltre che tra le più in voga degli anni Ottanta/novanta tanto da diventare un oggetto che ha segnato un’epoca.

Dagli anni Novanta in poi tuttavia, come molti altre oggetti di uso quotidiano, le calcolatrici Casio come le ricordiamo hanno aperto le porte ai nuovi sviluppi scientifici che permettevano di inserire chip sempre più piccoli e compatti. Ed ecco che nel mercato arrivano le calcolatrici moderne costituite da un pezzo unico. Alcuni collezionisti o alcuni nostalgici ancora conservano i vecchi modelli in qualche cassetto, testimoni di mille ricordi e di anni indimenticabili!